La conquista del Vello d'Oro(parte II)



Dopo altre avventure di minor conto, la nave Argo approdò finalmente alle rive della Colchide, il misterioso paese che è ai piedi dell'altissima catena montuosa del Caucaso. Giasone si presentà subito al re Eete. Questo sovrano abitava nel più bel palazzo del mondo, circondato tutto intorno da colonne di bronzo, nel cui cortile erano quattro fontane da cui uscivano vino, latte, olio aromatico e un'acqua che, calda in inverno, diventava gelida in estate.


Quanto Eete seppe lo scopo del viaggio di Giasone, montò su tutte le furie, deplorando la sfacciataggine di quell'indiscreto giovane che osava mettere gli occhi sul Vello d'Oro, la cosa più bella e più cara del suo regno. Ma, siccome Giasone insisteva, il re, seccato e sicuro di mandare il giovane incauto a morte certa, gli permise di prendere il Vello, alla condizione però che prima domasse due dei suoi geroci tori dai piedi di bronzo che gettavano fiamme dalle narici, e poi, domatili, li attaccasse a un aratro col quale doveva lavorare quattro arpenti di terreno non mai dissodato, seminando poi nei solchi i denti di serprende che lui gli avrebbe dato.
Giasone accettò temerariamente la sfida; ma egli non avrebbe mai potuto compiere ciò che Eete voleva, se, in suo soccorso non fosse intervenuta Medea, la bellissima figlia del re. Costei era una maga dai poteri sorprendenti e , poichè, appena veduto l'eroe greco, se n'era fieramente innamorata, gli offrì un balsamo ch'ella aveva composto con misteriose erbe, il quale aveva virtù di rendere invulnerabile per un giorno intero chiunque se ne spalamsse il corpo. La maga avvertì inoltre Giasone che dai denti di serpente appena seminati sarebbero sorti altrettando giganti terribili e minacciosi; sarebbe però bastato che il giovane lanciasse loro una pietra, perchè i giganti, invece di scagliarsi contro di lui, si mettessero a contendere tra loro la pietra come fosse un gioiello, e allora Giasone, approfittando della confusione, poteva sterminarli tutti a colpi di spada. In compenso di questi utili avvertimenti e di questi aiuti, Medea non chiedeva altro che una cosa: che Giasone la sposasse. Giasone promise.

Il giorno stabilito, il giocane si unse dalla testa ai piedi col balsamo miracoloso di Medea e si recò al cimento. Ecco subito uscire dalla stalla due enormi tori furiosi coi piedi di bronzo:dalle loro narici sbuffavano vampate di fuoco, ed essi recalcitrarono, s'impennarono e si scagliarono poi, impetuosi e feroci, contro l'eroe...inutilmente, perchè l'unghuento proteggeva il suo corpo. Giasone prese tranquillamente i tori, li sottomise al giogo, li attaccò all'aratro e, aizzandoli con la spada come si aizzano i nuoi col pungolo, spinse la coppia domata al lavoro. Il solco è presto fatto, e nel solco il giovane sparge i denti di serpente che il re gli ha dato. Un attimo, e dalla terra spuntarono fuori i giganti, e tutto avviene come medea aveva predetto.

Ora non resta che il drago a guardia del Vello. L'occhio sanguigno del rettile immane brillava foridabile foriero di morte, e le sue fauci già si preparavano a divorare l'audace che aveva osato affrontarlo. Senonchè l'innamorata Medea, a insaputa dello stesso Giasone, aveva somministrato al drago un potente filto magico che doveva addormentarlo; e proprio mentre esso stava per avventarsi contro l'eroe, il sonno lo colse e il mostro cadde giù. afflosciandosi inerte, in terra. Giasone immerse la spada nell'enorme corpaccio mirando al cuore, e il drago passò dal sonno alla morte. Il sospirato Vello d'Oro era ormai nelle mani degli Argonauti. C'era appena il tempo di imbarcarsi e di fuggire: il re Eeto, che aveva meditato feroci disegni contro di loro, appreso l'incredibile esito dell'impresa, diventò furibondo, smaniò, digrignò i denti, si morse le dita, ma dovette accontentardi di vedere la loro agile nave sparire all'orizzonte. Su quella nava era fuggita anche sua figlia Medea, come Giasone aveva promesso alla giovane maga.

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